Nella lettera il papa comunica alle autorità ecclesiastiche un avvenimento che aveva suscitato grande fervore religioso: la proclamazione di santità del frate minore Antonio da Lisbona, più noto come Antonio di Padova, in omaggio alla città che l’aveva ospitato negli ultimi anni di vita. Il testo verte essenzialmente sul rapido iter di canonizzazione, avvenuto in tempi da record. Concorsero alla proclamazione della santità sia l’autentico slancio della fede popolare, sia la volontà papale. Subito dopo la morte di Antonio, avvenuta il 13 giugno 1231, furono il popolo e i fedeli della città di Padova – rispettivamente attraverso la magistratura del podestà e la figura del vescovo – a presentare una petizione al papa per ottenere l’avvio di un regolare processo sulla santità e sui miracoli attribuiti al frate. Papa Gregorio IX accolse con zelo la richiesta: aveva infatti conosciuto personalmente Antonio e ne aveva apprezzato l’eloquenza e la dottrina: ai suoi occhi doveva apparire come il perfetto modello di frate francescano, quale ispirato predicatore e solido teologo. A Padova si insediò immediatamente il tribunale diocesano deputato a discutere la causa, presieduto da tre commissari di nomina papale. Questi, così come prevedeva il rito canonico, raccolsero e vagliarono i racconti dei testimoni convocati per riferire i miracoli e le intercessioni attribuite ad Antonio. Nel febbraio del 1232 il dossier degli atti fu inviato a Roma, accompagnato da una folta delegazione. Il pontefice non esitò a istituire il processo apostolico presso la curia, il cui esito positivo fu immediato. Così, Gregorio IX decise di canonizzare Antonio nella cattedrale di Spoleto, città in cui dimorava, il 30 maggio 1232: la festa fu grande per la solennità del rito e per l’accorrere di tanti ecclesiastici, francescani e fedeli. La bolla qui esposta riflette questo stato di grazia: Antonio fu il primo seguace di Francesco a meritare la gloria degli altari e ad essere proclamato ‘santo subito!’.